martedì 7 gennaio 2014

Il documento del Gruppo di Glienicke



Verso un’Unione dei Paesi dell’Eurozona

Perché senza un approfondimento dell´integrazione altre crisi sono in agguato. Undici economisti, politologi e giuristi tedeschi – il gruppo di Glienicke – elaborano proposte per un’Europa unita.

* Crisi, quale crisi?
Secondo l’opinione pubblica tedesca, non vi è più alcun motivo di preoccuparsi ancora per l’Europa. Sono oramai passate le settimane drammatiche in cui ci si aspettava ogni giorno il peggio. I mercati finanziari si sono calmati. Gli errori costitutivi dell’unione monetaria sembrano meno drammatici; davanti all’assemblea generale dell’ONU a New York il Presidente del Consiglio d’Europa, Herman van Rompuy, può affermare senza essere contraddetto - e non è l’unico a farlo – che “la minaccia all’esistenza stessa dell’Euro è ormai passata”.

Noi riteniamo che ciò sia completamente falso. Non c´é alcuna ragione per abbassare la guardia, standosene adagiati. Al contrario, la passività diffusa in gran parte dell’opinione pubblica tedesca riguardo alla crisi dell’euro non è solamente infondata: è pericolosa. Nessuno dei problemi che sottostanno alla crisi è stato anche solo lontanamente risolto: né la crisi delle banche, né quella dei debiti nazionali, né tantomeno quella della competitività. Il problema dell’indebitamento degli Stati non fa che aggravarsi. Le banche, appesantite da crediti tossici, paralizzano l´economia privata. Nei paesi in crisi opportunitá di vita sono derubate a un’intera generazione e la scena politica si radicalizza. La volontà di trovare soluzioni comuni nell´eurozona va indebolendosi velocemente.
Noi - undici economisti, giuristi e politologi tedeschi - non vogliamo rassegnarci all’idea di temporeggiare e di alzare continuamente la posta, scommettendo che la crisi, presto o tardi, passerà. Il paziente è malato e per guarirlo non basta abbassare la febbre e affidarsi, per il resto, alla sua capacità di guarire da solo. Abbiamo a che fare con problemi strutturali che richiedono soluzioni altrettanto strutturali. Anche se quest´analisi al momento non è condivisa, noi siamo convinti che l’unione monetaria necessiti di un´ulteriore integrazione e, in particolare, di un governo economico europeo capace di agire. Di seguito vorremmo tracciarne i contorni.
Noi parliamo qui da tedeschi, ma anche da cittadini dell’UE che si sentono legati, in una collettività, agli altri cittadini dell’UE. Questa non è una contraddizione: rientra nell’interesse tedesco, se ben inteso, prendere l’iniziativa politica invece di nascondere la testa nella sabbia per paura di un´unione dei trasferimenti e di liquidare ogni proposta costruttiva come un tentativo di spillare soldi ai nostri contribuenti.
Oggi lo sappiamo: il principio della responsabilizzazione e del non-salvataggio finanziario erano giusti. Tuttavia, esso fallisce laddove la sua imposizione causa un danno collaterale tanto grande che né i debitori, né i creditori credono più a priori all´obbligo della responsabilizzazione. La costruzione dell’eurozona non sará stabile fin quando essa non saprá evitare questi danni collaterali e ció comporta maggiore integrazione: come mostriamo nei seguenti quattro ambiti di azione.
* Debitori responsabili necessitano di creditori responsabili
Il trattato di Maastricht dava per scontato che le regole comuni sull´indebitamento, da sole, avrebbero risolto il problema dei debitori irresponsabili. In realtà, come mostra l’esempio della Grecia, non tutti gli stati vi si sono attenuti. Perciò è stato giusto irrigidire le regole sull’indebitamento con il patto fiscale e il semestre europeo. Tuttavia, l’intreccio di regole così creatosi deve essere sostituito da una procedura più snella e democratica, basata su fondamenti giuridici solidi.
E´ però altrettanto vero che la crisi in Spagna o in Irlanda non si sarebbe potuta evitare nemmeno mediante il patto fiscale. I rischi fiscali di questi paesi non sono sorti soltanto dall’inadempienza alle regole dell’indebitamento dello stato, ma, in ultima analisi, da una mancata regolarizzazione del settore finanziario all’interno di una zona monetaria eterogenea, il che ha generato forti squilibri regionali.
La crisi ha mostrato che la clausola di non-salvataggio finanziario è sostenibile solo se - in caso di crisi - ai debitori stanno di fronte creditori del settore privato in grado assorbire le perdite. Questo non è affatto il caso attuale. Il fragile sistema finanziario e bancario, con i suoi attori di rilevanza sistemica, può ricattare – in caso di crisi – il contribuente europeo.
Perciò l’eurozona ha bisogno di una robusta unione bancaria. La vigilanza comune sulle banche deve far sì che sia garantita una solida capitalizzazione di base del settore bancario. La ristrutturazione e liquidazione comunitaria delle banche deve imporre una gerarchia di creditori privati: se le banche subiscono forti perdite, gli azionisti devono intervenire in prima istanza, seguono gli obbligazionisti non privilegiati, dopo è la volta dei creditori privilegiati e infine dei fondi finanziati dalle banche stesse. Una volta esaurite queste opzioni, e solo dopo, si può fare appello al contribuente europeo.
Si deve essere consapevoli del fatto che ogni salvataggio statale di una banca nell’eurozona avrà degli effetti redistributivi tra i paesi. Pertanto, la regolamentazione delle banche deve essere più severa e meno lassista nell´eurozona che negli stati nazionali dotati di una propria moneta.
In linea di massima il Consiglio Europeo ha riconosciuto tutto ciò già nell’estate 2012. Tuttavia, intuiamo già ora un fallimento nell’attuazione, al più tardi nella primavera 2014. Entro questa data, la vigilanza bancaria europea dovrà aver verificato i bilanci delle banche. Infine, a partire da maggio dovranno essere realizzati degli “stress-test” attendibili. Tuttavia, come può funzionare seriamente tutto ciò se entro quella data le questioni sulla liquidazione bancaria non saranno state ancora risolte? Non si può porre la vigilanza bancaria davanti alla scelta di continuare a chiudere un occhio sui problemi di bilancio di una banca o di spingerla nell´insolvenza incontrollata. Un simile scenario mostra quanto il tempo incalzi. La soluzione politica dei problemi strutturali dell´eurozona non è più rinviabile, nemmeno con la scusa delle elezioni europee del 2014.
* Responsabilità e solidarietà vanno di pari passo
La responsabilizzazione degli stati membri implica anche quella dei loro cittadini. E´, quindi, inevitabile che questi ultimi debbano in buona sostanza farsi carico degli oneri della crisi, accettando anche riforme dolorose. Se, tuttavia, elementari opportunità di vita sono minacciate, si raggiunge il limite di tale responsabilizzazione. Allora deve intervenire la solidarietà dell`Unione, e soprattutto tra i suoi cittadini. Se in Grecia, in Portogallo, in Spagna un´intera generazione é privata dell´opportunità di condurre una vita lavorativa, questo non è un problema esclusivamente greco, portoghese o spagnolo, bensì un problema che riguarda noi tutti come cittadini dell’Unione.
L’unione monetaria non potrà perdurare in maniera stabile senza un meccanismo controllato di trasferimento delle risorse. Pertanto, il Meccanismo europeo di stabilità (MES) deve essere trasformato in un Fondo Monetario Europeo credibile e capace di affrontare crisi di liquidità che si autoalimenta. In questo modo, si evita che uno stato perda bruscamente l’accesso al mercato dei capitali.
In paesi minacciati da una bancarotta statale imminente e accolti nel piano di salvataggio, non si deve arrivare al punto in cui le elementari opportunità di vita dei loro cittadini siano sacrificate alle necessità di risparmiare. Deve poter accadere che i programmi di riforma siano prolungati per salvaguardare le opportunità di vita.
Situazioni in cui un paese dell´eurozona, caduto in un’acuta emergenza di pagamento, sia costretto a imporre alla propria popolazione misure di austerità draconiane devono rimanere eccezionali. Affinché non si arrivi a tanto, abbiamo bisogno di un meccanismo di assicurazione sociale all´interno dei paesi dell’eurozona che attenui le conseguenze fiscali di una drammatica crisi economica per la popolazione.
L´eurozona dovrebbe pertanto costituire un sistema di assicurazione sociale contro choc congiunturali: ad esempio un’assicurazione comune sulla disoccupazione, che venga a completare i sistemi nazionali. In questo modo, si otterrebbero due cose. Da un lato, si creerebbe un meccanismo capace di contrastare forti recessioni con automatiche misure stabilizzatrici europee. Dall’altro lato, un’assicurazione sulla disoccupazione darebbe all’Europa un volto concreto davanti ai cittadini dell´unione. Potrebbero farne parte quei paesi con mercati del lavoro organizzati in modo tale da supportare un ordinato funzionamento della moneta unica. L’introduzione di un’assicurazione comune sulla disoccupazione servirebbe allora ad avviare riforme, a lungo rinviate, nel mercato del lavoro. In questo modo, si promuoverebbe l’integrazione del mercato del lavoro europeo e si rafforzerebbe la coesione dell´eurozona a livello macroeconomico.
La disoccupazione di massa nei paesi in crisi esige ugualmente provvedimenti urgenti: per prima cosa, la mobilità nel mercato del lavoro europeo va migliorata in modo mirato per i cittadini dei paesi in crisi. Coloro che hanno perso i mezzi di sussistenza a causa della crisi devono essere messi in condizione di trovare un lavoro in altri paesi dell’eurozona attraverso l´offerta di corsi di lingua e di altri provvedimenti per l´istruzione. È assurdo che la Germania lamenti la mancanza di personale specializzato, mentre in Spagna il personale qualificato è in larga misura disoccupato. In secondo luogo, si deve garantire il buon funzionamento del mercato del credito nei paesi in crisi. Questo non significa che le condizioni di accesso al credito debbano essere le medesime in tutta Europa. Tuttavia, si devono poter finanziare investimenti promettenti. Per questo, l’unione bancaria gioca un ruolo centrale per la ripresa economica. Dobbiamo imparare dagli errori del Giappone.
Inoltre, un paese come la Germania puó dare immediatamente un contributo significativo. Nell´attuale fase di bassi tassi d´interesse, sarebbe consigliabile investire nelle nostre infrastrutture, creando, in questo modo, domanda nell´eurozona e occupazione per i cittadini degli stati in crisi.
* Democrazia e stato di diritto in crisi
In un’unione, gli stati membri devono poter essere certi del fatto che i governi siano eletti in maniera legittima, che le leggi siano emanate in maniera conforme alla costituzione e che i cittadini siano liberi e uguali davanti alla legge. I paesi che desiderano aderire all’Unione devono pertanto accettare di essere controllati scrupolosamente sugli standard concernenti la democrazia, la costituzione e i diritti fondamentali. L´ingresso nell´Unione comporta per uno stato l´impegno a continuare a rispettare tali standard (art.2 del Trattato sull´Unione europea). Tuttavia, una volta che un paese sia entrato nell’Unione europea, a questa mancano ancora oggi strumenti efficaci e credibili per far rispettare tale obbligo. Il caso dell´Ungheria ne é la prova.
Ció puó diventare particolarmente problematico, qualora gli stati membri debbano affrontare una grave crisi economica. L´esperienza mostra che queste crisi possono radicalizzare le società e minacciare le istituzioni democratiche di uno stato. In un’unione monetaria, a causa delle situazioni di crisi che possono sorgere, è quindi indispensabile una robustezza democratica e costituzionale maggiore del comune.
È inaccettabile che l’Unione europea possa richiamare all’ordine in maniera più efficace gli stati che contravvengono alle regole sugli aiuti anziché quegli stati che aboliscono la democrazia o le norme costituzionali. L’unione europea deve dotarsi di un meccanismo di sanzioni che garantisca che gli stati membri possano confidare l’uno nell’altro e che i cittadini dell’Unione non siano lasciati indifesi dinanzi a tendenze distruttive dello stato di diritto.
In generale, l´Unione in quanto comunità di beni e di diritti dipende in maniera vitale dal rispetto effettivo dei diritti da parte degli stati membri. Se la legislazione, l’amministrazione e la giustizia diventano talmente disfunzionali che nessuno piú si affida al diritto, ció minaccia i fondamenti dell´Unione. Le disfunzioni in alcuni paesi in crisi mostrano che questi timori possono diventare reali (per quanto la stessa Germania non si comporti sempre in maniera esemplare nell´attuazione delle direttive europee). Promuovere un effettivo stato di diritto, che nel contempo garantisca l’autorità del diritto europeo, dovrebbe pertanto essere prioritario rispetto, ad esempio, alla promozione dell’agricoltura.
* Che cosa mantiene coesa l´unione
Le unioni politiche esistono per fornire accesso comune a quei beni pubblici a cui altrimenti nessun paese di per sé – preso isolatamente - potrebbe avere accesso. L´impulso originario all´integrazione europea era assicurare la pace. La protezione dei confini esterni, i rapporti umanitari con i rifugiati e con chi chiede asilo nella zona Schengen, così come il mercato interno e la protezione del nostro ambiente sono ulteriori beni pubblici, al cui accesso comune siamo già adesso impegnati. La messa a disposizione di una stabile valuta comune é costitutiva per l´eurozona.
Il limite della responsabilizzazione degli stati membri in periodo di crisi viene raggiunto quando la messa a disposizione di tali beni pubblici è in pericolo. Se uno stato membro si ritrova in una situazione in cui non può garantire più la sicurezza aeroportuale, tutto il traffico aereo europeo ne soffre. Se in uno stato membro dominano condizioni umane non dignitose nei rapporti con chi chiede asilo, collassa l´intero sistema europeo d´asilo. Se i paesi in crisi iniziano a chiudere i propri mercati per proteggere i produttori locali, vengono minacciati il mercato interno e la politica commerciale comune. Se la crisi economica in uno stato membro raggiunge un punto in cui i mercati finanziari speculano sulla sua fuoriuscita dall´unione monetaria, ciò può distruggere la moneta comune.
Solamente quando la messa a disposizione di questi beni comuni funziona anche in casi di bancarotta di uno dei paesi membri, diventa applicabile la clausola del non-salvataggio finanziario. Questo non deve significare che la messa a disposizione di tali beni vada completamente centralizzata. Può bastare rendere possibile all´unione intervenire in caso di crisi. L´unione non deve iniziare sua sponte a costruire ovunque alloggi decenti per i richiedenti asilo. Essa deve però supportare almeno finanziariamente gli stati che non possono farcela con i propri mezzi.
* Un´unione ottimale, non minimale
Questi quattro punti – creditori responsabili, protezione delle opportunità di vita, protezione dello stato di diritto democratico, salvaguardia dei beni comuni – rappresentano il minimo necessario per mantenere l´Euro in vita. Tuttavia, deve accadere di più per sviluppare a pieno il potenziale dell´Unione e per rendere l´Unione stessa stabile in maniera permanente.
Cosí, siamo da molto tempo in ritardo nella realizzazione, accanto all´unione monetaria, di una politica estera e di sicurezza comune. In un mondo multipolare, in cui Cina, Russia e altri paesi espandono le proprie sfere di influenza e in cui la supremazia globale del nostro alleato USA diminuisce, l´Europa dovrebbe poter rappresentare i propri interessi comuni all´unisono.
Nella politica estera, per esempio, deve essere possibile perseguire una strategia comune al fine di armonizzare il diritto del commercio globale e della finanza e di utilizzare beni comuni come il mare e lo spazio. Dovrebbe essere ovvio che i paesi dell´eurozona con la loro moneta comune reclamino anche un posto comune presso il FMI e presso la banca mondiale.
Se ci fossero un´efficace politica estera comune e strutture decisionali centralizzate per la politica di sicurezza, sarebbe possibile raggiungere anche un posto comune nel consiglio di sicurezza dell´ONU.
La priorità accordata alla politica di sicurezza deve, tuttavia, essere orientata nei prossimi anni verso gli obiettivi necessari e raggiungibili a medio termine. Già da oggi, l´agenzia europea di sicurezza dovrebbe concentrare in maniera più efficace l’acquisto di hardware e di software militare, uscendo dalla morsa delle industrie belliche nazionali. A medio termine l´obiettivo dovrebbe essere la creazione di un´aereonautica e di forze navali comuni. I vantaggi economici di questo modo di procedere comune sarebbero particolarmente grandi. Ciò presupporrebbe però giocoforza comuni ed efficaci capacità decisionali di intervento.
Le sfide del ventunesimo secolo vanno oltre la politica di sicurezza e la politica estera in senso classico. Così, lo scandalo NSA ha mostrato che i cittadini europei non credono più che i propri stati proteggano la loro privacy. Sarebbe necessario un mercato interno per la sicurezza dei dati, che definisca norme severe per la protezione e per la criptazione dei dati su internet e che sia in grado di imporre tali norme nell´ambito dell´accordo con terzi paesi, anziché ribaltarle attraverso accordi di cooperazione con i servizi segreti.
Nella migliore delle ipotesi questi beni comuni dovrebbero essere sviluppati per tutta l´Unione europea, compreso il Regno Unito. Se ciò risultasse impossibile, l´eurozona dovrebbe mantenere sempre aperta l´opzione strategica di un´Europa a diverse velocità anche in questi ambiti.
* Un trattato per l’Euro in vista dell´Unione dell’Eurozona
Per poter realizzare questo programma politico, l´eurozona necessita di un patto fondativo nuovo e appositamente pensato per essa. Invece di sporadici aggiustamenti del tipo: “Trattato di Maastricht: versione 1.1” noi abbiamo bisogno di compiere un salto di qualità in ciò che concerne l’integrazione dell´eurozona: un trattato per l’Euro. Con un trattato di questo tipo verrebbero capitalizzati permanentemente gli insegnamenti e le esperienze collettive fatti nel corso della crisi. Con un trattato per l’Euro avremmo finalmente al centro della discussione quanto si vuole e si deve fare per la politica comunitaria e non più le solite obiezioni di costituzionalità, reali o apparenti. Le modifiche della costituzione tedesca, necessarie nel contesto di un´ulteriore integrazione, verrebbero finalmente discusse nel concreto, in occasione dell´elaborazione del trattato per l’Euro.
L´idea di un´Europa a diverse velocità non è nuova. Già quasi venti anni fa Wolfgang Schäuble e Karl Lamers hanno diffuso idee molto simili. La crisi europea ha invece mostrato che un simile salto di qualità deve coinvolgere giocoforza tutto l´insieme dei paesi dell’eurozona.
Questo trattato non deve dividere l´Europa, quanto piuttosto farla avanzare. Esso deve considerare gli interessi di tutti gli stati membri, soprattutto di quelli più piccoli. Esso è aperto in prospettiva a tutti coloro che sono pronti per un´integrazione più profonda. Il successo deve dare ragione all’integrazione ed essere abbastanza convincente, cosicché in futuro la partecipazione a un’unione della zona dell’Euro di questo tipo possa essere riconosciuta come attraente anche da un paese come la Gran Bretagna.
* Governo economico e parlamento della zona dell’Euro
Finora, nel superamento della crisi dell’Euro, a dominare sono stati i capi di governo nazionali. Tuttavia, quest´azione intergovernativa non é all´altezza delle sfide che devono essere superate in un´unione monetaria. Questo sovraccarico istituzionale è il responsabile principale del fatto che la banca europea centrale abbia assunto, nolente o volente, un ruolo tanto centrale per assicurare l´avvenire della moneta comune.
Noi necessitiamo finalmente di un esecutivo europeo che sia capace di agire politicamente, negoziando pacchetti di riforma con paesi in crisi, decidendo la chiusura di banche e garantendo la messa a disposizione di beni comuni. Per questo l´Unione dell’Eurozona ha bisogno di un governo economico capace di agire.
Questo governo economico deve disporre di graduali diritti di intervento nell´autonomia di budget nazionale. Finché gli stati membri rispettano i propri doveri, il suo intervento si può limitare a delle raccomandazioni non vincolanti. Se però uno stato membro viola i criteri di stabilità del trattato, il governo economico deve poter dare indicazioni vincolanti per questo stato su quanto debba economizzare – restando di sua competenza su quali voci di bilancio agire.
Il governo economico dell’eurozona non necessita solamente di diritti di intervento ma anche di un budget. Con questo budget esso promuove beni comuni e alimenta un fondo di crescita destinato ad accompagnare i processi di riforma negli stati europei. In principio si potrebbe finanziare questo budget attraverso le tasse. Tuttavia, vi sono delle ragioni fondate contro questa misura, che permette al governo economico di accedere in maniera massiccia alla base fiscale degli stati membri. Per questo, sembra opportuno finanziare l´euro budget attraverso un contributo di partecipazione, ad esempio dello 0,5% del prodotto interno lordo di ogni paese membro.
Il governo della zona dell’Euro deve essere scelto e controllato da un parlamento della zona stessa. Se si considera che lo scopo di questo parlamento è la messa a disposizione di beni pubblici nell´eurozona, è evidente che questo parlamento debba essere occupato dai deputati dei paesi dell’ eurozona membri del parlamento europeo. Nel nostro gruppo, tuttavia, vi sono anche altre voci che preferirebbero che a sedere in questo parlamento fossero deputati dei parlamenti nazionali, per garantire che il controllo sulle spese statali rimanga nelle loro mani.
Indipendentemente da quale modello si sceglierà, paesi come la Polonia, che prevedono di introdurre l´Euro nel prossimo futuro, dovrebbero già dall´inizio essere coinvolti nei negoziati sul trattato per l’Euro e nelle istituzioni dell’Unione dell’eurozona. In questo, modo deputati europei della Polonia o deputati della dieta polacca potrebbero essere rappresentati nel parlamento dell’eurozona con diritto di parola, senza tuttavia poter ancora votare fino all´ingresso della Polonia nell´unione monetaria.
Nessuno dovrebbe oggi trarre la falsa conclusione che la crisi si placherà e che i meccanismi di stabilizzazione assemblati frettolosamente siano sufficienti a fare dell´euro un successo storico meritato e inevitabile. Come ha detto uno dei padri fondatori dell´unione europea, Jean Monntet: “L’Europe se fera dans les crises”. L´attuale crisi è certamente la più grave che l´Unione abbia affrontato nella sua storia. Dipende da noi, adesso, cogliere la crisi come una grande opportunità per fondare l´Unione dell’ eurozona e, in questo modo, per completare l´unione monetaria.
* Membri del gruppo di Glienicke
Armin von Bogdandy, Direttore del Max-Planck-Institut per il diritto pubblico comparato e il diritto internazionale (Heidelberg)
Christian Calliess, Professore di diritto pubblico e diritto europeo alla Freie Universität (Berlino) e membro del Consiglio consultivo per l´ambiente (SRU)
Henrik Enderlein, Professore di economia politica; Hertie School of Governance (Berlino)
Marcel Fratzscher, Presidente dell´istituto tedesco di ricerca economica(DIW), Professore dell´università Humboldt (Berlino)
Clemens Fuest, Presidente del centro per la ricerca economica europea e Professore (Mannheim)
Franz C. Mayer, Professore di diritto pubblico, diritto europeo, diritto internazionale, diritto comparato e politica del diritto (Bielefeld)
Daniela Schwarzer, Direttrice del gruppo di ricerca sull´integrazione europea nella fondazione berlinese di scienza e politica (SWP)
Maximilian Steinbeis, Operatore del forum di discussione »Verfassungsblog«
Constanze Stelzenmüller, Direttore del Transatlantic Trends, German Marshall Fund of the United State (Berlino)
Jakob von Weizsäcker, Direttore del dipartimento di politica nel ministero economico della Turingia
Guntram Wolff, Direttore del Think Tank economico-scientifico BRUEGEL (Bruxelles)

Nessun commento:

Posta un commento